In questa guida spieghiamo come avviene la produzione di miele.
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Come le Api Producono Miele
Il miele è stato definito la sostanza zuccherina prodotta dalle api a partire dal nettare, dalla melata e da altre materie zuccherine che esse raccolgono su vegetali viventi, arricchiscono di sostanze provenienti dal loro corpo, trasformano, depongono nei favi e fanno maturare.
Come indica tale definizione, le materie prime da cui il miele trae origine sono essenzialmente nettare e melata. La quantità di miele che le api possono ricavare da una fioritura dipende, oltre che dall’estensione della fioritura stessa, dalla quantità di nettare prodotto e dalla sua concentrazione zuccherina, che sono entrambi fattori suscettibili di enormi variazioni da una specie all’altra: la quantità può andare infatti da meno di 0,1 mg (singolo fiorellino di Trifoglio) a oltre 1 g (Liriodendron L.) e la concentrazione zuccherina dal 2% a oltre il 60%. Le api prediligono le specie che offrono maggiori quantità di nettare, ma richiedono altresì che la concentrazione sia relativamente elevata, almeno superiore al 15%. Importante è anche l’accessibilità dei nettarii: alcune specie infatti, pur essendo nettarifere, hanno una conformazione fiorale che non rende agevole il bottinaggio; se ad esempio un fiore tubuloso è molto lungo la ligula dell’ape non può raggiungere il fondo del calice dove il nettare è raccolto, mentre ciò è possibile, ad esempio, per quella di molte specie di bombi e di Anthophoridae.
La quantità di miele prodotta da un’arnia è molto variabile: si possono ottenere dalla smielatura di un’arnia stanziale in media 10-15 Kg di miele l’anno, con punte che oltrepassano i 40 Kg, mentre nell’apicoltura nomade si può superare il valore di 60 Kg. Come per il polline, anche per il nettare l’entità della raccolta per arnia è in linea di massima proporzionale alla robustezza e alla consistenza numerica della colonia e segue nel corso dell’anno un andamento che è correlato con la situazione climatica e floristica. Anzi in questo caso il fattore “clima” è di importanza ancora più rilevante, in quanto, come già detto, influisce direttamente sulla secrezione nettarifera. Se ad esempio i valori di umidità relativa si innalzano oltre un certo limite, la produzione di nettare è elevata, ma esso è anche più diluito e per ottenere la stessa quantità di miele le api devono quindi svolgere un lavoro molto maggiore.
Il raggio d’azione della bottinatrice di nettare è molto più ampio di quello della bottinatrice di polline: normalmente infatti può estendersi fino a 3 km, e in condizioni particolari questo valore può essere largamente superato. Il raggio di volo degli altri apoidei, esclusi i bombi che possono volare per distanze di rilevanti, è in genere limitato, circoscritto a poca distanza dal nido, da poche decine di metri a 200-300 m.
Esaminiamo ora in modo più dettagliato il meccanismo di raccolta del nettare e della melata e la trasformazione di queste materie prime in miele. L’ape è in grado di succhiare i liquidi zuccherini grazie alla particolare conformazione del suo apparato boccale altamente specializzato: le galee delle mascelle e i palpi del labbro inferiore possono infatti riunirsi fra loro a formare un tubo attraverso il quale passa il cibo. All’interno di questo tubo si muove la “glossa” o “ligula” munita di fitti peli e percorsa da un canale adibito al passaggio del secreto salivare. Tali strutture prendono nel loro insieme il nome di “proboscide”. L’ingestione e il rigurgito dei liquidi sono assicurati dalla muscolatura della faringe la quale comprime o dilata la cavità preorale (cibarium), che funziona così da pompa. Il liquido succhiato attraverso la proboscide, dopo essere passato nella faringe e nell’esofago, giunge alla “borsa melearia”, dove si raccoglie, rimanendovi finché l’ape bottinatrice, completato il carico, non fa ritorno in arnia. La borsa melearia è una dilatazione sacciforme dell’esofago, ha una capacità di circa 50-60µl ed è separata dal resto del canale alimentare da una particolare valvola a forma di imbuto che si protende al suo interno; questa valvola, che prende il nome di “proventricolo”, è formata da quattro lobi che si chiudono a croce e ha la duplice funzione di trattenere il liquido accumulato nella borsa. Inoltre essa ha il compito di filtrare il nettare destinato a essere immagazzinato allontanandone gli eventuali agenti inquinanti (come ad esempio spore di nosema e di peste), e riducendo anche notevolmente la quantità di granuli pollinici originariamente presenti nel nettare. Poiché tutta l’operazione si svolge nel corso del volo di rientro della bottinatrice, a seconda che la sorgente nettarifera sia più o meno lontana dall’arnia, sarà più o meno grande la quantità di polline eliminata dal nettare; questo spiega le differenze a volte considerevoli che possono riscontrarsi nel contenuto pollinico di mieli aventi la stessa origine botanica.
I processi più importanti di trasformazione del nettare in miele hanno luogo nell’arnia, ma qualche modificazione comincia a verificarsi già nel corso dell’attività di bottinaggio e durante il volo di rientro: l’ape infatti, succhiando il nettare, vi aggiunge il secreto delle proprie ghiandole salivari che da un lato lo diluisce, dall’altro lo arricchisce di enzimi che agiscono sugli zuccheri in esso contenuti. Quando la bottinatrice fa ritorno all’arnia rigurgita il contenuto della borsa melearia e lo affida alle api di casa, che a loro volta se lo passano dall’una all’altra ripetutamente. Il numero di questi passaggi dipende dal ritmo di lavoro dell’alveare: se la quantità di nettare che arriva in arnia è molto elevata tutte le operazioni relative alla sua elaborazione sono più frettolose e il numero dei passaggi da una ape all’altra è ridotto. Se al contrario il raccolto è più modesto le api di casa hanno modo di manipolare più a lungo i liquidi affidati loro. In proporzione al numero dei passaggi il nettare viene arricchito di sostanze elaborate dalle api, in particolare di enzimi. Prima di essere immagazzinato il miele subisce un processo, detto di “maturazione”, che implica una serie di trasformazioni, tra cui una delle più importanti è la graduale perdita di acqua; per potere essere conservato senza il rischio di andare incontro a fenomeni di fermentazione, il miele ha infatti bisogno che il suo contenuto in acqua non superi il 20%, mentre nel nettare bottinato questa percentuale è molto più elevata. Questa progressiva concentrazione si svolge attraverso due fasi distinte: nel corso della prima fase l’ape che ha ricevuto il nettare lo pompa all’esterno, formandone una goccia che si raccoglie alla base della proboscide, e quindi lo risucchia, ripetendo poi rapidamente la sequenza per numerose volte, nel giro di 15-20 minuti. Esposta così all’aria secca e calda dell’arnia la goccia perde una certa quantità d’acqua, fino a raggiungere un valore di umidità del 40-50%. A questo punto ha inizio la seconda fase, nella quale la goccia viene collocata all’interno di una cella, dove l’evaporazione prosegue spontaneamente, favorita dal movimento d’aria dovuto all’attività delle api “ventilatrici”. Inizialmente le celle sono riempite per non più di un quarto o un terzo della propria capacità; quando la maturazione è quasi completa viene aggiunto altro miele, fino a circa tre quarti della cella; quando infine il contenuto in acqua scende al di sotto del 20% la cella è colmata e opercolata con uno strato di cera impermeabile. Le modificazioni cui il miele va incontro durante la sua maturazione non implicano soltanto la diminuzione del contenuto d’acqua, ma anche trasformazioni chimiche vere e proprie. Abbiamo visto che passando da un’ape all’altra il miele si va arricchendo via via di enzimi elaborati dalle api stesse: questi enzimi esplicano la loro azione essenzialmente sugli zuccheri complessi (di-tri- e polisaccaridi), trasformandoli in zuccheri semplici; in particolare il disaccaride saccarosio, che spesso è presente nel nettare in percentuali elevate, viene scisso ad opera dell’enzima invertasi in fruttosio e glucosio, che sono i componenti principali del miele maturo. Le percentuali in cui compaiono i vari zuccheri dipendono dall’origine botanica del miele. Ciascun miele, a seconda della sua provenienza, possiede infatti gusto e aroma peculiari, ed estremamente variabile è anche la gamma dei possibili colori, che vanno dal giallo più chiaro o color acqua al marrone molto scuro, con tutte le gradazioni intermedie di giallo e ambrato.
Il miele, alla normale temperatura ambiente, è una soluzione soprasatura di zuccheri e come tale tende spontaneamente a cristallizzare. Il fenomeno interessa essenzialmente il glucosio, che è meno solubile in acqua del fruttosio; il rapporto glucosio/acqua è quindi il fattore determinante ai fini di una più o meno rapida cristallizzazione e se esso è inferiore a un certo valore il miele non cristallizza affatto, come per l’appunto si verifica in alcuni casi particolari (ad esempio nel miele di Acacia, in cui lo zucchero predominante è il fruttosio). Per l’inizio del processo fungono da nuclei di cristallizzazione le particelle solide contenute nel miele (pollini, granelli di polvere, frammenti di cera, ecc.), oppure piccoli cristalli dello stesso glucosio (cristalli primari). Se in un miele sono presenti molti di questi nuclei la cristallizzazione è rapida e fine, e i cristalli che si formano sono piccoli e numerosi; se al contrario i nuclei sono pochi la cristallizzazione è più lenta e i cristalli sono più grossolani. Poiché i cristalli di glucoso hanno colore bianco, il miele, cristallizzando, assume una colorazione più chiara.
Lavorazione Miele
I melari, dopo avere allontanato le api con api scampo o soffiatori, sono prelevati e portati in laboratorio.
All’arrivo dei melari in laboratorio è opportuno effettuare un controllo del contenuto di umidità nel miele. Tale accertamento può essere effettuato con un rifrattometro ottico che consente di effettuare la misurazione in modo pratico e veloce. In caso di un tenore di umidità superiore a quello consigliato (17,5%) è consigliabile effettuare un trattamento di deumidificazione allo scopo di diminuire il contenuto dell’umidità nel miele. Questo trattamento può essere effettuato mediante l’impiego di un deumidificatore prima della smielatura, mettendo il miele in locale chiuso. In alternative è possibile effettuare un trattamento di deumidificazione dopo la smielatura, con appositi macchinari (questa metodologia è indispensabile per alcuni tipi di miele a cristallizzazione rapida (ad esempio edera e girasole), poiché il miele può cristallizzare nei favi.
Disopercolatura
In questa fase è opportuno effettuare una verifica dello stato dei telai contenenti miele scopo di eliminare quelli che presentano problemi (sospetto fermentazione, colore e odore anomalo, ecc.). La disopercolatura consiste nell’apertura delle cellette contenenti il miele mediante l’asportazione degli opercoli di cera. L’operazione può essere effettuata secondo due modalità
-manualmente, con l’ausilio di forchette e coltelli speciali su banco disopercolatore
-per mezzo di disopercolatrici semi o completamente automatiche, dotate di lame o catenelle che tagliano o frantumano la cera.
In entrambi i casi è opportuno svolgere l’operazione in modo igienico, evitando l’introduzione di contaminazioni di varia natura nel miele e proteggendolo dall’umidità.
Estrazione
L’estrazione viene effettuata per mezzo di smielatori centrifughi in acciaio inox, di dimensioni diverse a seconda del tipo di attività, di tipo radiale o tangenziale, manuali o automatici. In relazione al tipo di smielatore adoperato, i favi disopercolati vengono caricati uno alla volta nell’apposita gabbia all’interno dello smielatore oppure caricati in appositi cestelli da posizionare nello smielatore. Con questo dispositivo il miele viene estratto grazie alla forza centrifuga e i favi restano integri e disponibili per il successivo raccolto.
Filtrazione e decantazione
L’estrazione del miele deve sempre essere seguita da interventi che consentono di pulire il prodotto, eliminando le particelle di cera, le altre impurità e le bolle d’aria che si sono mescolate al miele nel corso della fase di estrazione. Tale risultato si può raggiunge mediante filtrazione e decantazione.
La filtrazione può essere effettuata utilizzando dei filtri a sacco in rete di nylon o dispositivi analoghi in rete metallica. Entrambi sono dotati di un’ampia superficie di filtrazione e vanno posizionati sopra il maturatore. L’ideale sarebbe filtrare il miele in più fasi utilizzando filtri grossolani, medi e fini. Il filtro più fine dovrebbe avere una maglia di 0,5 e 0,2 mm
-durante l’operazione deve essere prestata la massima attenzione per evitare l’introduzione di nuove impurità: i filtri utilizzati devono essere perfettamente puliti e il vestiario dell’operatore adeguato alla situazione
-durante l’utilizzo occorre monitorare costantemente lo stato di riempimento di filtri e contenitori per evitare la fuoriuscita di miele.
La decantazione consiste nel lasciare riposare il miele in un apposito contenitore, chiamato decantatore o impropriamente maturatore, in modo che le impurità dotate di un diverso peso specifico si separino dalla massa del miele concentrandosi per la maggior parte in superficie (quelle più leggere come frammenti di cera, insetti e loro parti, bolle d’aria) o sul fondo (quelle più pesanti, come ad esempio particelle minerali e metalliche). La velocità di decantazione varia a seconda delle dimensioni delle particelle e della viscosità del miele, a sua volta dipendente dalla temperatura e dal contenuto di acqua. A temperatura ambiente la decantazione si completa generalmente in circa due settimane. Durante il processo, il contenitore deve essere tenuto chiuso con l’apposito coperchio al fine di evitare qualsiasi tipo di contaminazione e l’assorbimento di umidità dall’ambiente circostante poiché il miele è un prodotto igroscopico.
La filtrazione è fortemente consigliata per il miele venduto al dettaglio mentre in caso di conferimento di miele all’ingrosso potrebbe essere sufficiente effettuare una buona decantazione seguita dall’eliminazione dello strato superficiale dei maturatori detto cappello di cera.
Riscaldamento
Molte fasi tecnologiche che coinvolgono il miele prima del suo confezionamento finale per la vendita al dettaglio prevedono un riscaldamento del prodotto, allo scopo di facilitare alcune operazioni. In particolare, ciò risulta utile quando è necessario ridurre significativamente la viscosità del prodotto, allo scopo di poter provvedere a filtrazione, decantazione, miscelazione, omogeneizzazione, pompaggio o invasettamento e il miele si presenta cristallizzato. Oltre a ciò, certe industrie ricorrono ad un trattamento ad alta temperatura, la pastorizzazione, allo scopo di portare sul mercato mieli allo stato liquido. Si tratta di una tecnologia che nel miele non è finalizzata, contrariamente a quanto avviene per quasi tutti gli altri prodotti alimentari, alla conservabilità e al mantenimento delle caratteristiche igienico-sanitarie del prodotto bensì alla possibilità del mantenimento dello stato liquido per tempi prolungati. Tale intervento prevede però di riscaldare notevolmente il prodotto, in modo tale da eliminare tutte quelle piccole particelle che, fungendo da nuclei di aggregazione della massa di miele, potrebbero favorirne la cristallizzazione. In ogni caso, qualora nel miele fossero presenti lieviti, con la pastorizzazione questi vengono uccisi, eliminando così definitivamente ogni successivo rischio di fermentazione.
Tuttavia, il riscaldamento, soprattutto se effettuato ad alte temperature, comporta sempre una degradazione della qualità del prodotto. Infatti tra i componenti minori del miele ce ne sono alcuni, in parte provenienti dal nettare della flora d’origine, in parte aggiunti dalle api al momento del raccolto e della elaborazione, volatili e termolabili. Tali costituenti sono anche responsabili delle proprietà biologiche del prodotto, in virtù delle quali il miele si caratterizza rispetto ad altre sostanze zuccherine. Il peggioramento sotto il profilo qualitativo avviene sia a livello organolettico, in quanto il riscaldamento comporta un progressivo imbrunimento del miele e una perdita delle sostanze volatili e termolabili caratterizzanti l’aroma, sia dal punto di vista chimico-fisico: si verificano infatti dei mutamenti della struttura cristallina, un incremento degli zuccheri complessi accompagnato da una riduzione di quelli semplici, un aumento dell’acidità totale, un parziale decremento dell’attività enzimatica ed infine un aumento del tenore di drossimetilfurfurale. Tutti questi cambiamenti determinano la perdita dei caratteri di freschezza di un miele, anche se in partenza si trattava di un prodotto di qualità.
Pertanto, allo scopo di preservare la qualità di un prodotto, si ritiene opportuno intervenire innalzando la temperatura solo quando strettamente necessario e prestando attenzione a non fornire più calore di quello necessario al processo tecnologico, utilizzando procedure adeguate e limitando il più possibile i tempi di esposizione al calore. Infatti si ricorda che, nel caso si debbano effettuare trattamenti termici per facilitare la lavorazione del prodotto, la viscosità del miele diminuisce significativamente all’aumentare della temperatura solo fino al raggiungimento di un valore di circa 40°C, in seguito essa cala molto modestamente, fino addirittura ad aumentare di nuovo a valori molto più elevati. Da ciò si evince come, anche per provvedere a operazioni di filtrazione accurate, non sia necessario riscaldare il prodotto oltre 40 gradi.