Le melate sono escreti di insetti che attaccano le piante con il loro apparato boccale e succhiano il liquido floematico da cui traggono sostanze nutritive, in particolare aminoacidi. Per poter soddisfare le loro esigenze in proteine, tali insetti sono costretti a succhiare notevoli quantità di liquido che contiene appena l’1-2% di proteine ed è ricco di acqua e zuccheri. Alcuni Rincoti sono dotati di un apparato digerente complesso, provvisto di una camera filtrante che collega l’ingluvie al retto: il cibo passa in gran parte per questo filtro e pertanto gli escrementi si arricchiscono di acqua e saccarosio, che è lo zucchero di trasporto nella linfa delle piante.. Certi Afidi sono sprovvisti di questa camera filtrante; il cibo deve allora percorrere tutto il canale digerente, che elabora, assorbe e trasforma gran parte degli zuccheri; la composizione chimica della melata di questi insetti è quindi notevolmente diversa da quella dei precedenti.
Si è tanto parlato dei danni che producono questi insetti fitomizi alle piante; in realtà la loro entità va in parte ridimensionata: di norma, se è vero che l’attacco di un insetto può essere nocivo, è altrettanto incontestabile che la pianta generalmente si riprende abbastanza bene da sola. Inoltre, in un ecosistema forestale centinaia di specie di insetti utili si nutrono di melata, che svolge quindi un ruolo importante nella loro alimentazione. Le api, soprattutto, traggono grande vantaggio da queste melate, per la produzione di ingente quantità di miele, spesso assai apprezzato dal consumatore. Le melate sono solitamente definite col nome della pianta (melate di Abete, Larice, Tiglio, ecc.); ciò ha indotto molti a credere che la melata sia una sostanza emessa direttamente dalla pianta medesima (essudato). Anche non escludendo che particolari condizioni fisiologiche o traumi possano indurre una pianta a emettere una sorta di “melata vegetale”, nel 99% dei casi la melata è di origine animale, cioè prodotta da insetti fitomizi
La produzione della melata è strettamente dipendente dalla dinamica di popolazione di questi insetti e assai variabile tra specie e specie. Si produce molta melata solo quando la densità di popolazione dell’insetto ha raggiunto valori molto elevati; non va però dimenticato che, anche in questi casi, condizioni meteorologiche bruscamente avverse possono annullare totalmente una produzione. È quanto meno avventato o largamente improvvisato esercitare dell’apicoltura nella foresta se non si è in grado di eseguire una previsione delle melate producibili nell’immediato futuro. Un minimo di conoscenze entomologiche è richiesto in questo campo: si possono contare gli insetti nei loro vari stadi di sviluppo, per unità di superficie (es. su rametti di un metro, ecc.) o contare le gocce di melata cadute su un foglio di plastica per unità di superficie per unità di tempo. Sono quindi necessarie osservazioni in pieno campo molto meticolose per poter capire quante colonie di api, per quanto tempo e per quale possibile produzione, dovranno essere trasferite sul posto.
Numerosi altri fattori, legati alla biologia dell’insetto e della pianta, influiscono comunque su quantità e qualità della melata emessa. Su questi escrementi zuccherini si sviluppano funghi ed alghe microscopiche: tali elementi figurati verranno rinvenuti nel sedimento dei mieli di melata. Vi sono melate prodotte in quantità notevoli con buona frequenza [melate di conifere o melate di Metcalfa pruinosa (Say)] ma generalmente si ha una grande produzione di melata ogni quattro anni (la melata di molte latifoglie). Talora l’esplosione delle popolazioni di Rincoti avviene in tempi molto lunghi (6-8 anni, melata di Castagno); tuttavia, non esiste una regola fissa per ogni specie poiché la dinamica delle popolazioni dei Rincoti è legata a numerosi fattori biotici e abiotici, e pertanto solo una valida prognosi è in grado di prevedere se quell’anno si potrà produrre molto miele di melata
Nonostante il gusto sia un fatto del tutto soggettivo, non si può disconoscere che il miele di melata è comunque dotato di un sapore caratteristico, anche a causa del suo potere dolcificante inferiore
Indice
Le melate principali
Si riferisce, qui di seguito, sulle melate che sono più o meno costantemente prodotte in grande quantità e che contemporaneamente risultano attrattive per le api.
Abete bianco (Abies alba Miller). La sua melata è considerata tra le migliori esistenti in Europa; in Italia si produce in ambiente alpino e nell’Appennino tosco-emiliano. Gli Afidi responsabili della sua produzione appartengono al genere Cinara Curtis; soprattutto determinante è il ruolo di Cinara pectinatae. Non vanno dimenticate altre melate cosiddette di Abete bianco (A. cephalonica Loudon) che si producono in Grecia ed in Turchia. Molto cospicua è la produzione di melata di Abete nell’Europa centrale.
Abete rosso (Picea abies Karstern). È una melata veramente ottima prodotta in gran parte d’Europa e in Italia prevalentemente sull’arco alpino. I più importanti insetti produttori sono Cinara costata (Zetterstedt), C. piceae (Panzer) e Physokermes hemicryphus (Dalman).
Quercia (Quercus spp.). Si ottiene periodicamente melata in buone quantità, ma essa è organoletticamente più scadente delle precedenti; il miele che ne deriva non si mantiene a lungo allo stato fluido e cristallizza in maniera tenace e grossolana. La melata di Quercia è abbastanza comune nell’Italia centrale e meridionale. Sotto questo aspetto pare che la melata di Leccio (Quercus ilex L.) sia la peggiore di questo gruppo. Gli insetti artefici di queste produzioni sono soprattutto Tuberculatus annulatus (Hartig) e T. borealis (Krzywiec).
Tiglio (Tilia spp.). Melata decisamente migliore di quella precedente, presenta un caratteristico e abbastanza apprezzato retrogusto di uva fragola. Il principale responsabile della produzione è Eucallipterus tiliae (L.). Poiché le aree boschive a Tiglio sono molto circoscritte, frequentemente questo miele di melata viene prodotto in vicinanza di agglomerati urbani (viali, parchi, tenute, ecc.).
Castagno (Castanea sativa Miller). Considerata l’estensione di questa specie nel nostro territorio, se ne dovrebbero produrre ingenti quantità di miele di melata. Ciò non avviene per due motivi: le api non sono molto attratte da questa fonte glucidica e inoltre essa raggiunge livelli di produzione notevole solo a lungo termine. Il fitomizo più importante sul Castagno è Myzocallis castanicola Baker, che raggiunge densità di popolazione notevoli dopo un discreto numero di anni
Salice (Salix spp.). Si tratta di una melata molto apprezzata dai consumatori, purtroppo poco diffusa in Italia; se ne conoscono produzioni circoscritte in Piemonte, Toscana e Umbria. Molto più cospicue sono le produzioni di miele nei Paesi dell’Est europeo
Larice (Larix decidua L.). È una melata che gli apicoltori preferiscono evitare, poiché cristallizza nei favi, costituendo il cosidetto inestraibile “miele cemento”. Si produce sulle Alpi [Cinara laricis (Hartig) e C. cuneomaculata (Del Guercio)], di regola in concomitanza con la fioritura del Rododendro; in tal caso il nomadismo su questa ericacea, invece di fornire un ottimo miele, si traduce in un vero danno per l’apicoltura.
Pino (Pinus halepensis L. e P. brutia L.). Solo in Grecia si produce miele di melata in ingenti quantità, in seguito all’attacco del fitomizo Marchalina hellenica (Gennadius).
Grano (Triticum spp.). In condizioni particolari, si può verificare un attacco ingente del fitomizo Sitobion avenae (Fabricius). Questi casi sono una vera “manna” per le api, che possono bottinare attivamente su una melata molto buona, mentre agli agricoltori resta il dubbio se intervenire o meno con costosi trattamenti; di regola la perdita in peso di grano non giustifica questi interventi.
Agrumi (Citrus spp.). Possono verificarsi produzioni di melata da parte di vari Rincoti (Aleurothrixus Quaintance & Baker, Planococcus Ferris, Icerya Signoret, ecc.) soprattutto in agrumeti abbandonati. Circa dieci anni fa gli analisti si imbatterono in mieli di melata di agrumi provenienti da Calabria, Sicilia e Tunisia.
Metcalfa pruinosa (Say). Quest’insetto, di recente e accidentale introduzione in Italia, essendo polifago, visita numerose piante spontanee e coltivate a scopo agrario e ornamentale, producendo copiosa melata. In genere il miele è un po’ scadente (ha il classico sapore di “cotto”); qualche volta, se l’insetto attacca piante di Tiglio o di Acero, il miele è migliore. M. pruinosa, ormai largamente diffusa nel Veneto, sta velocemente estendendosi ad altre regioni italiane. Dove essa prospera, un inquinamento più o meno vistoso di melata nei mieli di nettare è assai frequente: il miele è allora quasi sempre di colore più o meno scuro per la presenza di questa melata. Tale fenomeno può rendere più difficoltosa la produzione di mieli uniflorali puri.
Le melate occasionali
Si tratta di melate generalmente poco attrattive, anche se prodotte in forti quantità, oppure di melate che, pur essendo attrattive, non danno luogo a produzione di miele uniflorale, a causa della scarsa diffusione della specie vegetale nel territorio.
Acero (Acer spp.). Solo la melata di Acer pseudoplatanus L., causata dal fitomizo Periphyllus acericola (Walker), può in alcuni casi esercitare un certo interesse per le api.
Betulla (Betula spp.). Al Nord, o comunque dove vegetano bene le Betulle, non è raro vedere le loro foglie letteralmente luccicare per l’abbondante melata prodotta da alcuni fitomizi del genere Betulaphis Glendenning. Tuttavia è molto difficile notare visite di api su queste melate.
Albero di Giuda (Cercis siliquastrum L.). La sua melata, prodotta da Cacopsylla pulchella (Löw), è molto bottinata, soprattutto nei parchi e nelle valli dell’Italia centrale (es. Valle del Nera in Umbria) dove quest’albero è diffuso allo stato spontaneo. Va notato il fatto che si tratta di uno dei non frequenti casi in cui l’insetto non si limita ad attaccare la pagina inferiore delle foglie (come avviene tipicamente nelle latifoglie), ma anche quella superiore e, in seguito, le silique prodotte dalla fecondazione dei fiori
Fico (Ficus carica L.). La melata prodotta dallo Psillide Homotoma ficus (L.) è piuttosto abbondante e appetita dalle api, ma risulta di qualche importanza solo, sporadicamente, nel Mediterraneo
Pioppo (Populus spp.). Più che per la melata, prodotta da fitomizi del genere Chaitophorus Koch [C. populeti (Panzer) e C. tremulae Koch], le api visitano i pioppeti per raccogliere polline all’inizio della primavera e propoli in estate.
Alle melate di Corylus avellana L. (Nocciolo) [Myzocallis coryli (Goeze)], Fagus silvatica L. (Faggio) [Phyllaphis fagi (L.)], Fraxinus excelsior L. (Frassino) [Parthenolecanium corni (Bouché), Prociphilus fraxini (Fabricius)], Juglans regia L. (Noce) [Callaphis juglandis (Goeze)], Juniperus communis L. (Ginepro) [Cinara juniperi (De Geer)], Robinia pseudacacia L. (Robinia) (Aphis craccivora Koch), Tamarix spp. [Stigmaphalara tamaricis (Puton) e Colposcenia aliena (Löw)], Thuja occidentalis L. (Tuia) [Cinara cupressi (Buckton)], Ulmus campestris L. (Olmo) (Eriosoma ulmi L.) e di moltissime altre piante, soprattutto erbacee, ma anche arboree e arbustive, spontanee e coltivate per l’agricoltura e l’ornamento, le api dimostrano di essere poco o niente affatto interessate, sempre a causa della ridotta attrattività o della scarsa abbondanza della melata medesima.